La direttiva 52/2009 prevede un intervento coordinato in materia di immigrazione tra i vari Stati membri, in quanto elemento fondamentale per il corretto sviluppo del mercato del lavoro dell’Unione e per la lotta all’immigrazione illegale, orientato a colpire i datori di lavoro che assumano illegalmente lavoratori stranieri il cui soggiorno è irregolare. Al fine di conseguire l’obiettivo proposto, il legislatore comunitario ha previsto che gli Stati membri introducano una presunzione d’esistenza di rapporto di lavoro di almeno 3 mesi e che la violazione del divieto di assunzione illegale costituisca reato nelle ipotesi espressamente previste dall’art. 9 della direttiva.
A tal proposito l’ordinamento italiano era già dotato un apparato sanzionatorio adeguato alle indicazioni del legislatore comunitario. Il riferimento è all’art. 22, comma 12 e ss. del D.lgs. 286/98, ai sensi del quale il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato ed inoltre nei casi più gravi le pene aumentano, ad esempio se i soggetti interessati sono minori di età.
Il DM 10 febbraio 2017, pubblicato nella G.U. n. 93 del 21 aprile scorso, ha dato attuazione a quanto previsto dall’art. 1 c.3 del D.lgs. 109/2012 che ha recepito la direttiva in quanto individua dettagliatamente i diritti del lavoratore straniero il cui soggiorno sia irregolare.
In particolare, il datore di lavoro viene considerato responsabile, nei confronti del lavoratore di un Paese terzo (extra UE con il quale non siano stati conclusi specifici accordi con l’Unione europea in materia di libera circolazione delle persone) assunto illegalmente e il cui soggiorno non è regolare, del pagamento di ogni retribuzione arretrata e di un importo pari a imposte e contributi previdenziali che avrebbe dovuto versare in caso di assunzione legale, incluse penalità di mora e relative sanzioni amministrative.
Al fine di effettuare la quantificazione degli emolumenti arretrati sarà necessario fare riferimento ai CCNL riferibili all’attività svolta per il livello e le mansioni indicate. In ogni caso le retribuzioni non potranno essere inferiori all’importo mensile per l’assegno sociale per rapporti di lavoro domestico e alle retribuzioni giornaliere minime rivalutate ogni anno dall’INPS per altri rapporti di lavoro.
Inoltre, con l’art. 2 del decreto ministeriale viene istituito uno specifico modello informativo finalizzato a portare a conoscenza del lavoratore i suoi diritti e le procedure per farli valere nei confronti del datore di lavoro.
Fonte: DM 10 febbraio 2017, pubblicato in G.U. n. 93 del 21 aprile 2017.